LA GIOIA DEL mio PARTO - neo mamma1

Questo post prende ispirazione dal testo LA GIOIA DEL PARTO di Ina May Gaskin (stra conosciuto fra gli addetti ai “lavori perinatali” e alle donne in gravidanza). La prima parte è dedicata a racconti di corpi femminili durante il travaglio e la nascita, perché l’autrice afferma che al giorno d’oggi le storie spaventose suscitano maggior attenzione pur non essendo la verità assoluta. Così sono necessarie tante storie positive, gioiose e serene per dare forza e vedere l’esperienza del travaglio e della nascita sotto una diversa prospettiva.

Ecco perché anche io voglio raccontare LA MIA GIOIA DEL PARTO e condividerla, oltretutto proprio oggi a 1 mese dalla nascita della mia primogenita Alida.

Durante la gravidanza ho per lo più evitato di pensare al momento cruciale del travaglio e della nascita, forse proprio per evitare quel turbinio di pensieri negativi e di sofferenza che spesso accompagna i racconti sul tema. In alternativa, ho riscoperto hobby che da tempo avevo abbandonato (cucito, cucina, ricamo, bricolage…) traendone soddisfazione e rilassamento. D’altro canto, nella mia formazione ho avuto modo di avvicinare il mondo delle gestanti e di crearmi la mia visione ideale dell’esperienza. Bene, la realtà si è molto avvicinata ad essa!
Durante i tre/quattro giorni precedenti alla nascita di Alida le mie sensazioni sono state altalenanti, passavo da momenti di energia a sensazioni di pesantezza. L’ultima visita di controllo il venerdì, un week-end di riposo e un’abbuffata di bomboloni con amici. Il lunedì avevo l’unico pensiero di andare come da tradizione a prendere i biglietti al banco di beneficenza parrocchiale. Non ci sono riuscita.
Ore 19 arrivo a casa dei miei per cenare insieme, una sensazione allora strana non mi fa alzare dal divano, ma la fame non manca, chiedo di anticipare i tempi di preparazione e ceno sdraiata con il piatto appoggiato sulla sedia. Ore 19.30 ho solo voglia di andare a sdraiarmi nel mio lettone che però non rivedrò prima di una settimana!
Infatti, tempo di arrivare davanti a casa e inizio a percepire un fastidio alla pancia che con il passare del tempo acquista sempre più carattere, concretezza e regolarità (ogni 4 minuti sale e dopo poco scende). Quest’ultima caratteristica letta da me e dal mio compagno come segnale che è giunto il momento di avviarci verso l’ospedale da noi scelto e che dista circa 45 minuti di strada … l’importante è che ci sentiamo in buone mani! Da qui in poi io ho perso la cognizione del tempo, completamente assorta nell’ascoltare le richieste del mio corpo attivamente coinvolto in quegli ultimi cambiamenti repentini e forti che avrebbero da lì a poco … era la mia speranza e così è stato ... portato alla nascita della nostra Alida.
Quello che avevo immaginato come primo ostacolo è stato superato alla grande: arrivare al secondo piano a piedi! Sconsigliato l’uso dell’ascensore durante il travaglio!
Secondo punto: capire a che fase del travaglio siamo. Visita e il responso è “Tornate a casa ci vorrà del tempo!”. Ok, nessun problema, ma “che cosa devo aspettarmi di diverso da ora? Quale altro segnale?” E l’ostetrica … “Ad esempio, la rottura delle acque!” Io: “MMMhh forse mi è già successo ieri!”… Espressione di meraviglia mista a terrore dell’ostetrica e... Ricoverata! E così è letteralmente iniziata la mia marcia verso la nuova esperienza! E cammina, cammina, cammina… penso di aver camminato per una distanza pari a quella percorsa in tutta la mia vita! Ogni tanto qualche stop forzato e poi di nuovo in marcia. Ricordo una sensazione di stanchezza che mi ha fatto risalire pensieri negativi “tradizionali”: va a finire che arrivi alla fine che non avrai le forze di spingere! Questo è l’unico momento in cui ho veramente perso le forze, mi sono lasciata prendere dalla preoccupazione, dai pensieri negativi e… è bastato un pugno al muro e uno scrollone emotivo da parte del mio compagno per riprendermi e ricordarmi cosa ero lì a fare!
Nuova visita di controllo a metà nottata. Bella notizia: la situazione è avanzata. Brutta notizia: manca ancora tanto. Allora mi metto il cuore in pace, mi stendo nel fantastico letto tecnologico e mi riconcentro nella gestione del fastidio … diventato dolore … che ancora ogni 4 minuti mi viene a fare compagnia e io lo accolgo con vocalizzi canticchiati a sguarciagola: ohmmmmm …. Aaaaahhhhaaaa… ohmmmaaaaaohmmm. Nella mia testa tutto si concentra sulle parole dell’ostetrica del corso preparto: tutto quello che sentite serve per modificare il corpo per aprire la strada alla piccola che deve venire al mondo. E me lo ricorda anche la mia compagna di camera che ad ogni mia scusa per il disturbo arrecato mi risponde con: “Regalami un po’ di quello che stai provando che è quello che spero da giorni!” (nascerà 1 giorno dopo, parto indotto). Poi, ogni tanto apro gli occhi e mi sento davvero fortunata, perché trovo sempre lo sguardo del mio compagno pronto a carpire ciò di cui ho bisogno. E io, controllata a vista, posso continuare a rimanere immersa tranquilla e serena nelle modificazioni del mio corpo.
Ore 8.00 cambio turno ostetriche, nuova visita di controllo e minuti di panico organizzativo per correre in sala parto: sono completamente dilatata e la piccola preme per nascere… Il terzo punto era raggiungere la dilatazione di 10 cm: fatto senza neppure accorgersene! Sportivamente raggiungo la sala parto a piedi. Dopo le presentazioni varie… ci vuole sempre un po’ di educazione… l’ostetrica inizia a darmi consigli, indicazioni e mi segue nelle varie prove di posizioni. Quarto punto: fase delle spinte dove gira e rigira ho trovato la mia miglior collocazione per sentire al meglio dove indirizzare le spinte ed aprire la porta al mondo alla mia piccolina. Il mio compagno è sempre lì con me che mi guarda e mi ascolta, presente come mai l‘ho sentito prima e mi re-innnamoro di lui!
Ore 9.50 mi attraversa una sensazione di … come se attraversassi una cascata di acqua calda rilassante… Alida è venuta al mondo e subito saluta tutti con un bellissimo pianto, calmato immediatamente dal contatto pelle a pelle con me. Caldissima e di un colore stranissimo (normale per l’infermiera neonatale che insiste nel rassicurarmi a riguardo) la nostra Alida è già pronta a mangiare dal mio seno. Io scoppio a piangere e ridere contemporaneamente, inebriata dall’idea di essere felicissima di aver vissuto tutto questo!
E la vera avventura ha avuto inizio!

Commenti

  1. Che dire ... Mi sono commossa! Una gioia leggere le tue parole ... Congratulazioni mamma Verena e papà Dino, la vostra nuova avventura è appena iniziata e sarà un percorso incredibile! Con grande orgoglio e il più grande affetto vi sono vicina ... E Alida è il più bel miracolo che potevate desiderare!

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  2. Mi hanno commosso le tue parole...e mi hanno fatto rivivere la gioia della nascita di mio figlio, 15 anni fa...
    Arrivo in ospedale alle 8 del mattino, un po' titubante perché non avevo dolori ma solo qualche perdita strana..mi visitano e mi dicono:" signora, è dilatata di 5 cm, cosa stava aspettando??? " e da lì è iniziato sì il dolore, ma anche mille sensazioni che mi porto dentro..finché alle 13.40 è nata la mia vita..

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    1. Grazie mille Ileana!
      Allora esiste anche chi "partorisce in poco tempo"! ahahah

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  3. E vero ti ri innamori del tuo compagno! Sono fortissime emozioni miste a paura ! Pronta a tutto per vedere quel viso che hai sognato per 40 settimane e più. .poi ti ritrovi Mamma io mamma 2 volte 2 bimbi stupendi e un corpo cambiato per sempre ma con 2 motivi in più per vivere e gioire ogni giorno ... il mio tutto sono loro loro pEr il quale sto male loro per il quale gioisco per ogni piccola scoperta !

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  4. Esattamente sei anni fa diventavo mamma per la prima volta. In una notte forse troppo poco “travagliata”, dopo un’induzione lasciata a metà, per una presunta sofferenza fetale all’improvviso mi ritrovavo nel gelo di una sala operatoria, letteralmente divisa in due, tra l’emozione di veder nascere Marco e la paura, la solitudine, il freddo, il tremore di un ambiente poco rassicurante, e il mio corpo per metà inanimato che non rispondeva ai comandi del mio cervello in tumulto. Poi il suo pianto, il mio, ma il bambino è basso di peso e quindi fugge via…lo rivedrò dopo più di 12 ore. I giorni seguenti sono un trambusto di emozioni, l’incredulità di questa nuova avventura, la fatica immane per inseguire un allattamento reso ancora più faticoso da un rooming in negato, ma fortunatamente proseguito con successo grazie all’aiuto di professionisti competenti. Un legame nato piano piano, un amore cresciuto giorno per giorno, ma con una ferita che si è rimarginata molto prima sulla pelle che non nel cuore.
    Poi, nel maggio del 2015, è il momento per Luca di affacciarsi al mondo. Questa volta dopo una notte “molto travagliata”, nel letto di casa mia, con la presenza amorevole di mio marito e di una “ostetrica d’altri tempi”. Il viaggio in macchina, tra sussulti dolorosissimi, ci porta ad un ospedale diverso dal primo, questa volta rassicurante, sia da un punto di vista professionale che umano. E’ l’alba del giorno che ci farà diventare genitori per la seconda volta. E questa volta parlo al plurale perché è un’avventura che io e mio marito abbiamo vissuto insieme, dall’inizio alla fine. Questa volta la sala parto la vivo, la soffro, sono protagonista di quello che mi accade. Un piccolo aiuto farmacologico per regolarizzare l’andamento del travaglio è l’unico intervento medico, non ci sono chirurghi, teli, bisturi, forbici, ma solo due rassicuranti e discrete ostetriche che mi stanno sempre accanto. Questa volta il dolore c’è, forte, prepotente, instancabile…ma c’è anche il mio corpo, che reagisce, che rivela la sua natura vera, istintiva…quella natura che non ha paura di urlare, che non ha il pudore della nudità, che mi fa spingere verso la vita come posseduta da una forza inarrestabile. E così Luca nasce, e piange, e piangiamo tutti perché ce l’abbiamo fatta…perché questa volta stiamo insieme da subito, perché nessuno ci vuole separare…è la gioia di aver superato i miei limiti, la gioia di aver ottenuto un successo tanto cercato e desiderato, la gioia di aver fatto pace con una ferita che adesso si è rimarginata anche nel cuore.

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    1. Antonietta grazie mille per aver condiviso queste tue emozioni e sensazioni. Una ferita che hai saputo gestire e che ti ha portato ad essere ancora più consapevole nella tua seconda avventura di mamma. Che gioia!

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  5. Anto mi è venuta la pelle d'oca a leggere... come capisco la tua storia! E così ecco qui il racconto delle nascite dei miei figli:

    A CESARE

    Dovevi nascere a fine aprile: il termine era il 29, ma essendo (come me) podalico, abbiamo fissato la data del cesareo al 19. Poi pochi giorni prima una chiamata dalla clinica: “dobbiamo anticipare al 17, domani entra in clinica signora!”.
    Sabato 17 aprile 2010, alle 12,49 tu nascevi.
    Il cesareo non è come il parto naturale: non si può partecipare attivamente ne’ sentire il bambino che collabora uscendo pian piano. E’ diverso: un attimo prima ci sei solo tu e un attimo dopo, senza che tu nemmeno te ne accorga, il tuo bambino è nato.
    Quando ti ho sentito piangere e quando, poco dopo, ti hanno messo davanti ai miei occhi per pochi secondi, mi sono commossa… a dire il vero ho gli occhi umidi anche ora nel ricordarlo.. Mi sei sembrato bellissimo e ti ho detto “ciao piccolo”: è stato il mio benvenuto.
    La prima impressione che ho avuto di te è che fossi un bambino grande e forte, molto più di quanto mi aspettassi! E veramente bello! Se fino a pochi istanti prima, legata al tavolo operatorio, sotto lo strano effetto dell’epidurale e in balia degli strattoni dei chirurghi, mi ero detta che non avrei fatto mai più figli, ora ero certa che ne valesse la pena. Quando mi hanno portata fuori dalla sala operatoria c’era il tuo papà ad aspettarmi. Mi ha accarezzata e mi ha detto “Amore hai fatto una cosa bellissima!”. Non dimenticherò mai la gioia e lo stupore nei suoi occhi. Ancora oggi quando ti guardo mi chiedo come abbiamo fatto io, lui e il nostro amore a fare una cosa tanto bella.
    L’unico rimpianto che ho è di non averti potuto subito stringere tra le mie braccia e offrirti il seno. Ti hanno subito portato via per metterti nella culletta termica e solo dopo un paio d’ore, quando finalmente avevo smesso di tremare per l’effetto dell’anestesia ed è giunta l’ora della poppata, ti hanno portato da me.
    Solo quando sono tornata a casa ho capito fino in fondo quanto fosse innaturale la vita che eri costretto a fare in clinica, spesso lontano da me in quella culletta asettica. E infatti quando eri nella nursery mi mancavi moltissimo e, anche nel pieno della notte, non dormivo mai e non aspettavo altro che le luci del neon ci abbagliassero preannunciando l’arrivo delle cullette. Quando eri tra le mie braccia non riuscivo a non guardarti per tutto il tempo: eri la mia meraviglia!
    E’ stata una festa il momento della dimissione! Non mi è sembrato vero il momento in cui finalmente sono uscita dalla nursery con te in braccio: ora eri davvero nostro!
    I primi tempi a casa non sono stati facili con i pianti, la stanchezza delle notti insonni, persino all’inizio la percezione che tu fossi un estraneo venuto a turbare il perfetto equilibrio della nostra vita a due (solo molto più tardi ho scoperto che la scienza ha dimostrato che questa percezione di estraneità è tipica del cesareo). E’ stato soprattutto l’allattamento a rafforzare giorno per giorno il nostro legame.
    Ma in quei primi giorni insieme mi hai insegnato tante cose: che il tempo può diventare lento e rilassato. E poi che quando si tratta di bambini, tante regole preconfezionate non servono a nulla. Ho capito che non aveva alcun senso ostinarsi nel pensare che “non è giusto tenerlo a lungo in braccio” o che “non deve entrare nel lettone”, cose di cui prima della tua nascita ero una convinta sostenitrice. Mi hai insegnato che se un lattante piange e vuole essere preso in braccio non è perché è viziato, ma perché è un suo bisogno primario, tanto quanto nutrirsi o respirare. E’ vero che la gestazione non termina con la nascita, con un brusco distacco, ma molto dopo, in modo graduale e naturale. Lo stare a contatto, pelle a pelle, è un bisogno forte non solo per il bambino ma anche per la

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  6. DIANA MARIA
    Il mio primo bambino, Cesare, è nato con un cesareo programmato, poiché era podalico.
    Per tutta una serie di ragioni, quando quasi 3 anni e mezzo dopo sono rimasta incinta di Diana Maria, volevo con tutta me stessa che nascesse con un parto naturale. Innanzitutto, la ripresa psicofisica dopo un cesareo è lenta e non ti permette di dedicarti al tuo bambino con tutte le energie di cui avresti bisogno. Ma soprattutto il cesareo interferisce con l’avvio del legame con il proprio bambino! Quando Cesare è nato ho fatto parecchia fatica a capire che quel bambino che tenevo in braccio era proprio il mio e mi aspettavo di sentirlo ancora muovere nella mia pancia: non ho fatto nulla per farlo nascere, quando è nato l’ho intravisto e me l’hanno poi riportato ore dopo… Ora tra me e lui esiste un legame fortissimo, ma ricordo che nelle prime settimane lo sentivo come un estraneo che si fosse installato nella nostra casa… L’allattamento ci ha permesso di recuperare quello che avevamo perso nei primi momenti, ma all’inizio anche allattarlo è stato difficile proprio anche a causa della separazione avvenuta appena dopo la nascita.
    Per tutte queste ragioni era decisa a non ripetere un cesareo se non in caso di effettiva necessità. In primo luogo quindi, fin dall’inizio, avevo escluso di partorire nella mia città, dove il vbac è un evento pressochè sconosciuto.
    Avendo contratto il citomegalovirus, per tutta la gravidanza di Diana ero stata seguita al policlinico di Pavia, e quindi a lungo pensai di partorire lì, anche perché mi avevano assicurato che per il parto sarei stata seguita da una ginecologa molto favorevole al vbac. Bene, quando presentai il mio piano del parto, tale dottoressa così “favorevole” mise in discussione la maggior parte delle mie richieste, sostenendo che si basavano su un presupposto errato: per lei il vbac non poteva essere in nessun modo ritenuto un parto fisiologico. Di conseguenza, dovevo fare parto e travaglio stesa su un lettino, non potevo bere o mangiare, ecc. Mi spiegò inoltre che in sala parto, trattandosi di un istituto universitario, sarebbe stata presente praticamente una folla di persone. Si passò il limite quando cercò di costringermi con ripetute pressioni ad accettare l’epidurale. Addirittura mi minacciò dicendo che se si fosse arrivati al cesareo, in assenza di epidurale mi avrebbe fatto fare un’anestesia totale, adducendo la scusa che “in caso di emergenza è piu’ veloce”. Parlando con altri medici ho avuto la conferma che non è così. Durante quella stessa visita, a due settimane dalla dpp, cercò di forzarmi le membrane senza neppure avvertirmi. A quel punto, sentendo con certezza che lì sarei andata incontro certamente ad un altro cesareo, decisi di partorire altrove e la mia scelta cadde sul Buzzi, a Milano. Mio marito e i miei familiari, che inizialmente pensarono fossi impazzita, di fronte alla mia ferma decisione dovettero farsene una ragione. Al Buzzi, poche settimane prima, avevo partecipato all’incontro mensile dedicato al vbac: avevo così scoperto che le percentuali di successo lì sono altissime e mi ero resa conto che il personale considera il vbac un parto del tutto naturale e ordinario.

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  7. Il 19 di novembre iniziai ad avere contrazioni dolorose, così la sera mi recai al ps dell’ospedale dove però mi dimisero con l’indicazione di tornare quando avessi avuto da un paio d’ore contrazioni di 1 minuto ogni 3 minuti.
    La sera seguente le contrazioni erano ogni 3 minuti e, dal momento che anche con il bagno caldo non rallentavano, ripartimmo alla volta di Milano. All’arrivo al ps ero dilatata di circa 3 cm. Compilata la cartella con i tutti i nostri dati e fatto il tracciato, alle 10.30 mi assegnarono una sala parto. All’arrivo in ospedale e durante intervista e tracciato le contrazioni erano un po’ rallentate: il percepire di trovarmi in un ambiente estraneo e medicalizzato e in mezzo a sconosciuti mi infastidiva. Sono convinta che se sono riuscita a travagliare e partorire serenamente è stato anche perché io e mio marito siamo stati lasciati soli ( l’ostetrica è rientrata solo dopo alcune ore per controllare la dilatazione e poi al momento espulsivo) e sono riuscita ad estraniarmi completamente da quanto mi circondava, “regredendo” e tornando ad essere nient’altro che un mammifero! Sentivo infatti l’esigenza di “crearmi una tana”, e così dopo una prima fase in piedi mi raggomitolai in posizione fetale tutta avvolta nelle coperte, ad occhi chiusi. Respiravo e gridavo e, proprio come dice Ina May Gaskin, ogni volta che aprivo la bocca per urlare sentivo anche il mio corpo dilatarsi. Ho affrontato tutto il travaglio in questo modo. Il dolore non mi spaventava, perché sentivo che non distruggeva ma portava vita e anzi, dopo l’esperienza del cesareo, apprezzavo persino questo sentire che stavo dando alla luce la mia bambina. Mio marito è stato meraviglioso: per tutto il tempo è rimasto seduto tranquillo accanto a me. Addirittura, nonostante le mie urla, per un certo periodo ha dormito! Era una presenza serena e in nessun modo invasiva. Riflettendo nei giorni seguenti sul mio parto, pensavo a quanto sia importante che tutti, donne che partoriscono e personale che le assiste, dovrebbero essere profondamente consapevoli di quanto l’ossitocina sia un “ormone timido”, come dice Michel Odent, ed impostare tutto il parto su questa consapevolezza! Le ostetriche sono rientrate quando si sono accorte che ero alla fase espulsiva e hanno assecondato il mio bisogno di rimanere in posizione fetale. L’unico momento che ho vissuto con paura è stato il trovarmi con la testa di Diana metà dentro e metà fuori: bruciava e avevo la sensazione che mi lacerasse. Quando invece è scivolato fuori il corpo è stata una sensazione incredibilmente liberatoria. Diana Maria è nata all’ 1.45 del 21 novembre 2013, puntualissima nella data presunta del parto. Il sentire e vedere nascere mia figlia è stato meraviglioso. Subito la piccola è stata adagiata sul mio petto e ho avuto la sensazione che fosse la cosa più morbida del mondo! Dopo un po’ di esitazione, è stato il papà a tagliarle il cordone. Dopo pochi minuti, tutti sono usciti e ci hanno lasciato soli a conoscerci per un paio d’ore. Mi ha colpito l’attenzione con cui i suoi occhietti scrutavano me e il papà: uno sguardo vigile e consapevole, curioso, da un esserino nato da pochi istanti Proprio perché abbiamo passato insieme i primi attimi di vita, con Diana ho avuto fin da subito una forte consapevolezza che lei apparteneva alla mia famiglia e fin da subito si è creato un fortissimo legame, accentuato dal fatto che (a parte durante le inevitabili numerose visite che ha dovuto fare, essendo nata con citomegalovirus congenito) già in ospedale non mi sono mai separata da lei, tenendola tra le mie braccia di giorno e dormendo con la sua testolina nell’incavo del mio braccio la notte.

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  8. Che racconti emozionanti Alba...quante sensazioni contrastanti sono connesse alla maternità. Grazie per averle volute condividere con noi. Credo che i tuoi racconti, che offrono anche spunti di approfondimento bibliografico, permettano di comprendere che la maternità spesso apre una ricerca di consapevolezza, informazioni, suggestioni che possono modificare profondamente l'esperienza vissuta. Un contributo importante per tutte le mamme!!

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  9. ... vorrei tanto raccontare anche la mia esperienza, che è stata molto simile alla tua... altamante spirituale... credo di aver provato qualcosa di simile alla pace eterna... ma sai mi avrebbero presa per pazza!!! Credo che il tema della nascita sia molto distorto dalla nostra società. Dolore e medicalizzazione... niente di più lontano dal vero. Vorrei gridare al mondo che la nascita è sacra, e il rispetto e la difesa della diade madre bambino è ancora molto lontano.

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